In occasione dell’8 maggio i pazienti si interrogano sul futuro. Tante le terapie innovative, così come è fondamentale l’impegno dei donatori. Ma a preoccupare è la crescita dei casi di drepanocitosi
La data è quella dell’8 maggio. Quella in cui, ogni anno, si celebra la Giornata mondiale della talassemia. Un appuntamento che, come di consueto, vuole rappresentare un momento di confronto e di approfondimento su questa malattia ereditaria del sangue, ma anche un’occasione per promuoverne la conoscenza. A tutti i livelli. Principalmente verso le nuove generazioni. Tuttavia, a generare preoccupazione tra le associazioni dei pazienti, oltre all’incertezza sul futuro delle terapie e dell’assistenza sanitaria, è l’aumento sempre crescente dei casi di drepanocitosi, conosciuta anche come anemia falciforme. È un’altra patologia genetica ereditaria che prende il nome dalla forma che assumono i globuli rossi a seguito della rigidità e viscosità che li caratterizzano: a mezzaluna o a falce, appunto.
Numeri ufficiali della SITE (la Società italiana talassemie ed emoglobinopatie) relativi a gennaio 2021 dicono che nel nostro Paese sono 10.045 i pazienti affetti da queste forme, di cui 7.978 talassemici e 2.067 drepanocitici. Sicilia, Sardegna, Piemonte e Lombardia sono le quattro regioni con il più alto numero di casi, a cui si aggiungono Veneto ed Emilia Romagna per quel che riguarda l’anemia falciforme: «In vista di una giornata come questa – spiega Raffaele Vindigni, presidente di United Onlus (la Federazione nazionale delle associazioni di talassemia, drepanocitosi e anemie rare) – il mio pensiero va ai tanti giovani pazienti che sono stati contagiati dal Covid e che non sono riusciti a farcela. Un pensiero che, ovviamente, va a tutte le loro famiglie. Questa data per noi significa tanto, ma non possiamo permetterci di celebrarla solo come un traguardo, bensì deve essere un perenne punto di partenza».
Certamente nel corso degli anni la ricerca ha compiuto importanti passi in avanti nello sviluppo di terapie innovative (come dimostra l’intervista rilasciata ad AVIS Nazionale dalla professoressa Lucia De Franceschi del Dipartimento di Medicina dell’AOU di Verona), ma secondo i pazienti il cammino da percorrere è ancora lungo. Un cammino in cui i donatori continuano a ricoprire un ruolo fondamentale: «La scelta etica e volontaria di migliaia di persone consente a noi di usufruire di trasfusioni salvavita e ai ricercatori di sviluppare nuovi farmaci e soluzioni cliniche alternative – prosegue Vindigni – ma i problemi con cui conviviamo ogni giorno sono molteplici.
Non bisogna pensare alla talassemia limitandosi all’idea che una volta ricevuta la sacca di sangue sia tutto ok, ma ad una patologia che richiede un’assistenza costante. Il malato deve essere al centro di una serie di interventi da attuare a livello nazionale: primo tra tutti l’incremento del personale clinico nelle strutture sanitarie, un qualcosa che potrebbe essere accompagnato dalla proposta, a livello universitario, di conseguire la laurea specialistica in Ematologia a indirizzo talassemia. In più, come chiediamo da tempo, è necessario accelerare i tempi per l’istituzione della rete nazionale dei centri di talassemia. Il Covid ci ha rallentato, ma non ci ha fermato. Questa è una battaglia che dobbiamo combattere e vincere insieme: pazienti, donatori e istituzioni».
Avis.it